Il nostro campo estivo di storia pubblica e digitale è giunto al giro di boa.
In paese abbiamo avuto modo di parlare con la priora della Confraternita della Nostra Signora d’Itria, la signora Rosalina Cavada. Ci ha parlato dei diversi riti sia perduti sia ancora praticati e sentiti dalla comunità oranese, in particolare le pratiche religiose legate alla Madonna d’Itria.
La piccola chiesa a navata unica presenta ancora oggi un ciclo di dipinti murari nel presbiterio e dei resti in due cappelle laterali, poco leggibili. Le pitture sono risalenti al 1678 e possono essere collegati da un lato al pittore manierista Andrea Lusso, dall’altro preludono alle figurazioni degli Are, già presenti nella Chiesa del Santo Rosario. L’edificio conserva tra gli altri anche un comparto ligneo che rappresenta l’iconografia mariana sarda: la Madonna in posizione stante con in ginocchio ai suoi piedi si trovano due figure umane: racconta il miracolo che uno schiavo sardo prigioniero in Africa chiese al suo padrone di andare via per partecipare alla festa della Madonna d’Itria. Il padrone non concesse il permesso e per non far scappare lo schiavo, lo chiuse in una cassa e mise sopra un materasso per dormirci sopra la notte. La mattina dopo si svegliarono entrambi in terra sarda: il padrone mussulmano, riconosciuta la potenza della Madonna, a quel punto si convertì.
La facciata della Chiesa è invece stata graffitata da Nivola nel 1958. I racconti di paese riportano che, quando gli veniva chiesto che cosa rappresentassero quei “pasticetti”, l’artista rispose che stava rappresentando la battaglia di Lepanto, in riferimento alle pitture della Chiesa del Rosario, ben più conosciute a livello locale. Sono riconoscibili in effetti, nella parte superiore destra, delle barche, il sole e la mezzaluna, simbolo dell’impero ottomano.
Tonino Ara, ex presidente della Pro Loco, ci ha guidato per le vie del centro storico a partire da Casa Maninchedda, Casa Sas Damas, Casa Meloni, residenze di alcune delle famiglie più importanti di Orani tra il Settecento e la prima metà del Novecento, Su Mulinu e all’ex caserma dei Carabinieri.
Martino Dessolis, Assessore all’Ambiente e alla Difesa del Territorio del Comune, ci ha accompagnato in un’escursione fuori porta per conoscere i ruderi e le chiese abbandonate del territorio oranese: la sorgente d’acqua di Sos Banzos, dove sono tutt’ora visibili i resti delle terme romane, la Chiesa di Nostra Signora di Liscoi che sorgeva nel villaggio medievale dalle tracce ancora visibili nel terreno, e infine le tre Chiese intitolate a Sant’Elia, San Giorgio, e San Pietro, che delimitavano il confine tra il territorio di Orani e Orotelli.
Con l’arrivo del professor Marcello Schirru, dell’Università di Cagliari, abbiamo ragionato sulle possibili destinazioni d’uso passate della attuale Piazza Mazzini. L’ipotesi, confermata da racconti orali e da tracce murarie del Seicento all’interno della cantina della Casa Demontis – Siotto, è che fosse presente in quel punto il Palazzo Feudale e le carceri.
Nel pomeriggio abbiamo conosciuto Peppino Zichi, falegname artigiano. Nella sua bottega dall’ inebriante odore di legno, ci ha mostrato la tecnica di intaglio del legno e del sughero, e in particolare della maschera oranese de Su Bundhu, dai tratti antropo-bovini dall’inconfondibile colore rosso e dalla corna bianche.
Le architetture, testimonianza delle dinamiche che coinvolgono una comunità, si svelano raccontando la propria storia all’osservatore attento. Nel tardo pomeriggio la passeggiata per le vie del paese con il professor Marchello Schirru, dell’Università di Cagliari, con “Architettura ad Orani tra età moderna ed età contemporanea”.
Per chiudere la giornata abbiamo partecipato agli emozionanti “Fuochi di San Giovanni”, una festa dalle profonde radici che vuole essere un rito propiziatorio per il raccolto in occasione del solstizio d’estate.